Biosfera di Montreal, Buckminster Fuller (1967)

26.02.2021

La Biosfera di Montreal

La Biosfera di Montreal viene realizzata per ospitare il Padiglione degli Stati Uniti durante l’Expo 1967. Essa costituisce la struttura geodetica più nota e che più incarna gli ideali di Fuller rispetto la promessa tecnologica. L’architettura di Buckminster Fuller dimostra come un normale sistema strutturare high tech realizzato con elementi e giunti in acciaio crei una “struttura spaziale” descritta da reticoli geodetici. 

Con un diametro di 62 metri, la cupola domina l’Île Sainte-Hélène: la grande sfera era riuscita a catturare l’immaginazione di tutti coloro che erano in visita alla fiera al punto da diventare l’icona simbolica di tutte le fiere mondiali successive e di un progetto urbano visionario. Infatti ogni Expo realizzato dopo il 1967 presentava una struttura espositiva sferica, secondo la visione per cui ogni città del futuro debba presentare una costruzione sferica visibile all’interno del tessuto urbano. R.B. Fuller fu un inventore, architetto, designer, filosofo, scrittore statunitense ma è oggi noto soprattutto per i suoi studi e progetti riguardo le cupole geodetiche. Per quasi vent’anni Fuller aveva perfezionato i suoi progetti di cupole geodetiche impegnandosi nella costruzione di edifici sperimentali. La distribuzione ossessiva di questo elemento, da ristoranti a strutture militari, fece in modo che questa struttura versatile venne direttamente associata alla personalità di Fuller.

“To do more and more with less and less until eventually you can do everything with nothing”

Buckminster Fuller esemplifica l’idea di “fare più con meno” attraverso un processo architettonico dal carattere più etico che estetico. Il suo interesse si sviluppa verso l’efficienza materica, l’integrità strutturale e la modularità: elementi essenziali per un progetto sostenibile e facilmente replicabile. Egli sperava infatti di poter risolvere i problemi degli alloggi postbellici con le cupole geodetiche grazie alla loro resistenza, leggerezza e facilità di montaggio e smontaggio. Quest’architettura non vuole rappresentare un esempio secondo concezioni funzionalistiche o riduttivamente tecniche, cerca invece di sottolineare come la potenza della forma sia relativa al pensiero che la accompagna.

John Cage: “Quando penso alla vita che diventa arte, penso a Fuller.” 

La visione di Fuller si originava a partire dalla nozione di sinergia interna ai processi legati alla vita e all’universo. Egli leggeva la complessità di un sistema nel suo insieme sostenendo, al contrario, che essa non potesse essere deducibile dai singoli elementi. In questo senso solo agendo nei confronti di tutte le parti ed in considerazione della totalità ci si può confrontare con l’umanità intera. Il progetto cerca quindi di esemplificare questi concetti attraverso una composizione semplice, frutto della geometria pura, intesa come generatrice di tutte le forme. A partire dallo studio delle possibilità operative delle forme basilari (quadrato, cerchio, triangolo equilatero) è possibile comprendere come queste tre forme, quali origine di tutte le altre forme, siano elementi strutturali fuori dal tempo e quindi presenti in tutte le epoche e in tutti gli stili. La composizione rifiuta quindi motivi architettonici che possano contraddire la sua essenza: le forme elementari esercitate in purezza rinunciano a qualsiasi ornamento per diventare loro stesse ornamentali. In questo caso, la tradizionale identificazione dell’ornamento con la contiguità al corpo architettonico e la relativa differenziazione tra elementi essenziali ed ausiliari collassano di fronte all’evidente paradosso di un edificio quale “ornamento totale”. Attraverso l’approccio elementare emerge la capacità del saper cogliere il corpo dell’idea, la quale tramite l’architettura riesce ad esprimere gli aspetti che le diverse forme rivelano. Il quadrato si lega alle cose pratiche e statiche, alla matematica ed all’architettura; il cerchio si relaziona al movimento, appresenta il sole ed il moto perpetuo; infine il triangolo rappresenta un simbolismo universale, come origine di ogni forma indica l’ascesa.

La bellezza delle pure geometrie della biosfera era un vantaggio estetico, un espediente intenzionale ma subordinato ad una ricerca funzionalista ed etica. In questa logica il triangolo costituisce la figura di base della cupola geodetica come unico insieme complesso capace di autostabilità ed è quindi di per sé una struttura. L’elemento primario della cupola geodetica viene ottenuto aggiungendo un altro punto al triangolo: nasce in questo modo il tetraedro, il quale rappresenta la struttura di base della natura.  Fuller utilizza il metodo closepacking, dell’impacchettamento di uguali sfere tangenti, dando luogo nel piano ad una serie di aggregazioni cellulari che denominano strutture modulari e nello spazio poliedri.  La struttura esterna può essere letta come un sistema di piramidi a base esagonale, ciascuna con vertice giacente su un punto di una sfera virtuale: una struttura senza centro che è però moltiplicazione infinita dello stesso nucleo. Da ogni nucleo si dipartono 12 aste: 6 in direzione di altri nodi principali e 6 in direzione di nodi secondari. Questi ultimi sono situati verso l’interno della struttura e ciascuno si trova alla convergenza di 6 aste: 3 in direzione di nodi principali e 3 in direzione di nodi secondari contigui. 

Nel suo insieme questo scheletro di poliedri d’acciaio alto 20 piani appare pressoché sferico. Esso racchiude i desideri collettivi del momento: la volontà di ascensione, la salvezza attraverso la tecnologia ed il controllo di un microcosmo, il quale preferisce chiudersi su sé stesso che distendersi sulla terra.  All’interno della sfera si esercita la strategia del vuoto attraverso la semplice aggregazione di corpi. Tra essi emerge un edificio espositivo di sette piani, il quale rappresenta i vari elementi programmatici della mostra. La staticità della composizione volumetrica interna si contrappone alla leggerezza ed all’inconsistenza dell’esterno. In realtà la cupola era più opaca rispetto alla versione sperimentata di oggi, fu infatti distrutta a causa di un incendio nel 1976.  Tuttavia la sua attuale condizione strutturale, sebbene non voluta dall’architetto, crea una trasparenza completamente leggibile che rivela l’ingegnosità del design di Fuller. La nudità della composizione permette una lettura continua delle superfici interne ed esterne, intese come sfaccettature di un singolo tessuto strutturale. Nel 1990, dopo quasi vent’anni di disuso, la Biosfera fu acquistata dal governo canadese e riutilizzata come spazio espositivo ambientale, dedicato a promuovere la comprensione del fiume St. Lawrence e dell’ecosistema dei Grandi Laghi. Gli interni rinnovati vennero rinnovati dall’architetto locale Éric Gauthier. Oggi costituisce un tributo all’opera di Fuller, il quale viene riconosciuto come uno dei primi architetti a portare il concetto di sostenibilità in un uso diffuso. 

Camilla Amatori

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